Venerdi scorso, a 5 mesi dalle Olimpiade di Beijing, a Lhassa, capitale del Tibet, monaci buddhisti hanno subito violenze da parte del potere militare cinese. Morti e feriti, ma non si sa ancora quanti. La Cina, inoltre, ha lanciato un ultimatum ai manifestanti tibetani intimando di arrendetersi entro la mezzanotte di lunedì. Il presidente Hu Jintao deve fronteggiare un disastro di immagine nelle relazioni internazionali ed è probabilmente pronto ad avviare un’azione repressiva ancora più implacabile, se necessario: sa che le Olimpiadi sono a rischio di boicottaggio. Ma perfino l’importanza dei Giochi passa in second’ordine: il controllo strategico del Tibet, la repressione di ogni sfida politica al partito comunista, sono priorità assolute.
Nel frattempo ieri, a Dharmasala, si è svolta una manifestazione pacifica con candele accese per evidenziare le recenti e continue violazioni dei diritti umani in Tibet e per esprimere, a nome del popolo tibetano in esilio, la volontà di ottenere libertà di espressione e una patria realmente autonoma.
Il Dalai Lama, intanto, ha chiesto aiuto al resto del mondo: